Il Luca Guadagnino Horror

(Palermo - 1971)

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    Mi ero perso questa discussione. Avendo visto entrambi i suoi film horror, posto quanto scritto in merito.

    Suspiria (2018)
    Berlino 1977: nello studio di un anziano psicoanalista una giovane ballerina sproloquia a proposito della sua scuola di danza gestita da streghe. Nella suddetta scuola, qualche giorno dopo, vediamo presentarsi Susie Bannion, ragazzetta dell'Ohio di umili origini ma molto ambiziosa.
    Guadagnino rielabora il Suspiria argentiano ribaltandone senso ed estetica, scansionando in "atti" il flusso magmatico dell'originale e desaturando una fotografia che, nel film del 1977, è al contrario urticante e infuocata.
    L'intento del regista è di colmare di elementi narrativi ciò che nel film argentiano era puro canovaccio onirico, di trasformare in opera "colta" ciò che per Argento doveva esclusivamente mirare alla pancia (e agli occhi, e all'inconscio) dello spettatore.
    E in tale intento Guadagnino fallisce. Il suo è un film "artsy", ma non riesce ad essere un film profondo.
    Dove invece il Suspiria del 2018 riesce, e alla grande, è nel canalizzare il perturbante nelle straordinarie sequenze di ballo, capolavori di montaggio che trasfigurano e rimodellano (nel senso letterale del termine, come dimostra la scena horror più originale e indimenticabile del film e probabilmente del cinema degli ultimi anni) i corpi della ballerine e rendono in maniera magistrale l'atmosfera di certe cerimonie rituali. In confronto a come Guadagnino (con i suoi ottimi collaboratori) raffigura il corpo e il movimento, il rimanente passa automaticamente in secondo piano: i cenni alla RAF, alla banda banda Baader Meinhof, all'olocausto, a Lacan, a Jung, al matriarcato, le parentesi body-horror esoteriche, senza dire poi dei giochi di potere all'interno della comunità streghesca, sono solo rumori di fondo puramente accessori, tappezzeria affabulatoria.
    L'insieme è ipertrofico e afflitto dalla logorrea espressiva del suo autore, eppure in vari frangenti è così potente e perturbante da lasciare senza fiato, e oltretutto è innegabilmente coraggioso nel non tirarsi indietro di fronte al kitch, allo splatter, al ridicolo.
    Dakota Johnson si conferma uno dei più impressionanti "corpi da cinema" in attività di questi tempi, Tilda Swinton è semplicemente maestosa.
    Non male ma sicuramente non indimenticabile la tanto strombazzata ost di Thom Yorke.

    Bones and All (2022)
    Fine anni 80: abbandonata dal padre per via delle sue abitudini alimentari alquanto "particolari", la giovane Maren attraversa gli States per cercare, nel Minnesota, sua madre, a quanto pare afflitta dagli stessi suoi "problemi". Lungo il tragitto incontrerà vari altri "eaters" (il vecchio e malinconico Sully, un bizzarro duo di reietti) e forse, nel caso di Lee, l'amore.
    Guadagnino rielabora il romanzo di Camille DeAngelis per adattarlo alle sue atmosfere sospese e alla sua persistente ricerca di un cinema multisensoriale e avvolgente. Il risultato però, per quanto affascinante, è al di sotto delle attese.
    Road movie sentimentale, ipnagogico e a tratti perturbante, Bones and All soffre di un'andatura sonnolenta, di un'estetica spesso troppo virata verso il lezioso (colonna sonora di Reznor-Ross assolutamente inclusa), di una certa mancanza di focus che rende la narrazione episodica e annacqua sia il romanticismo che la tensione.
    Dai critici cinematografici (complessivamente assai benevoli) sono stati tirati in ballo Raw e The Addiction come riferimenti principali, ma a dirla tutta il momento più poetico del film (e del libro) è preso di peso da un bellissimo racconto di Robert McCammon: Eat Me
    Guadagnino, col suo respiro ampio e con il suo approccio autoriale, è uno dei pochi che crede ancora nel cinema e per questo va elogiato a prescindere, ma Bones and All è un mezzo passo falso, nonostante gli attori (pur impegnati in dialoghi non proprio appassionanti) offrano una prova rimarchevole.
     
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25 replies since 10/1/2020, 02:59   338 views
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